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Viaggio in Sicilia

04/08/2022

“Scarica canali”, “caricabotti” o “vacca scinni e 'ncravacca”, tu come giocavi?

I giochi di una volta sono moltissimi e caratteristici di un'epoca spensierata, in cui stare all'aria aperta e in comitiva era praticamente la regola. Lo abbiamo visto per i giochi di cui abbiamo già raccontato e lo riconferma questo. Un gruppo di amici, una strada e voglia di divertirsi, questi gli ingredienti delle giornate dei ragazzi di una volta, accomunati da un sano desiderio di libertà. E così anche per il gioco che oggi ci racconta il nostro amico Giorgio, per lui è “vegnu e vegnu”, ma in Sicilia ha veramente un numero infinito di denominazioni, ne citiamo solo alcune: “caricabotti”, “vacca scinni e 'ncravacca”, “acchiana u' patri cu tutti i so' figghi”, “zumma”, “scarica canali”, “quattru e quattrottu”, “aceddu cu li pinni scarica e vattinni”, “scancara cavaddu”, “quattru cicireddi”, “abbiri ca vegnu”. Li riconoscete?

Giorgio e il ricordo del suo “vegnu e vegnu”!

“Certo, ormai ho un'età, ma vegnu e vegnu lo ricordo bene, sarà perché ci ho giocato per anni ed ero veramente un campione”. Inizia così il racconto del nostro amico Giorgio, che parla dei suoi anni da ragazzo con emozione e trasporto, definendosi fortunato per aver vissuto anni così belli e spensierati, all'insegna del divertimento, della voglia di stare insieme e sempre in giro. “Iu ero siccu e longu” ci dice, “e mi facevano saltare sempre per primo, ma andiamo con ordine. Eravamo un bel gruppo nel mio quartiere e ci riunivamo sempre per trascorrere le nostre giornate insieme. Con alcuni ero anche compagno di classe, ma il gruppo era misto, e ci sbagliavamo di qualche anno gli uni con gli altri. Un compagno si doveva mettere spalle al muro e veniva chiamato “mamma”, per il resto ci dividevamo in due gruppi, uno composto da tre amici in cui il primo si piegava un po', poggiava la testa e si teneva sulla “mamma”, gli altri si sistemavano dietro, ognuno tenendosi al compagno posto d'avanti, sempre con la schiena piegata. L'altro gruppo doveva saltare sopra di loro, in ordine, uno alla volta. Che divertimento e che risate! Chi saltava non doveva toccare la mamma e neanche poggiare i piedi a terra. Come dicevo, io, lungo e secco, saltavo per primo e riuscivo ad arrivare sul primo compagno, ma prima si avvisava chi era piegato urlando: vegnu e vegnuuu! e via così tutti i compagni a correre e annunciare il loro turno per saltare. Quando arrivava il momento di Ciccio, un compagno più piccolo ma più robusto, sentivamo tutti sempre un certo timore di cadere, e chi era sotto sicuramente temeva di più! Quando il secondo gruppo al completo era sulla schiena degli amici, dovevamo tutti cantare un ritornello, spero di ricordarlo bene, mi sembra che facesse all'incirca così: “Quattru e quattru ottu, scarica lu bottu, aceddu cu l'ali, aceddu cu li pinni, scarica e vattinni. 1, 2 e 3 ti rugnu un pizzicottu e mi ni scinnu”. Solo a quel punto potevamo scendere tutti. A volte non arrivavamo a cantarla perché cascavamu tutti in terra. Ci divertivamo veramente tanto, e spesso finivamo a litigare, ma l'indomani eravamo di nuovo insieme a giocare. Era tra le attività che più ci piaceva, anche in classe, quando mancava l'insegnante, si era soliti sentire: “vegnu e vegnu”! Che dire, tempi andati, tempi belli, tempi desiderati! Raccontatelo ai giovani come giocavamo e diteglielo che la gioventù non torna, quindi di scendere per le strade e giocare, ad acchiappa acchiappa, a ria, a lippa, a mosca cieca e a vegnu e vegnu, e ne avranno storie da raccontare!”