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Viaggio in Sicilia

05/03/2020

Il giallo della baronessa di Carini: la realtà supera la fantasia?

Il suo fantasma si aggira tra le stanze del castello. C’è chi giura persino di averlo visto affacciarsi alla finestra. Danza con il suo amante, ucciso come lei, liberi di vivere in eterno la loro storia d’amore.
La realtà, quando vuole, supera la fantasia, ma a Carini, in provincia di Palermo, non c’è nulla d’inventato. Avvicinarsi al castello di Carini è un suggestivo arrampicarsi tra le viuzze e le scalinate del paese palermitano. Un profilo frastagliato e bellissimo che nasconde una storia agghiacciante, un giallo ancora oggi carico di mistero, l’uccisione di Donna Laura Lanza, la baronessa del paese, e del suo innamorato segreto. Una relazione amorosa sfociata nel sangue e insabbiata dagli stessi assassini, quale trama migliore per scrittori, cantastorie e persino registi? Mettetevi comodi, vi raccontiamo un noir affascinante.

La baronessa e il suo amante: un amore lungo vent’anni
Il giorno dell’anniversario del suo assassinio, il 4 dicembre, su un muro del castello vicino all’ala ovest, dove era solita incontrarsi col suo innamorato, compare l’impronta insanguinata della sua mano. Scappava dal suo carnefice, la baronessa Laura, quando già colpita violentemente si appoggiò alla parete in cerca di un sostegno, lasciando il segno della sua mano. A nulla valse ogni tentativo di salvarsi, il suo destino era segnato. Doveva morire e con lei il suo amante, Ludovico Vernagallo.

Ma chi era la nobil donna?
Donna Laura Lanza, figlia del barone di Trabia poi divenuto anche conte di Mussomeli, a soli 14 anni andò in sposa al sedicenne Vincenzo, erede del casato di Carini. Un matrimonio ovviamente combinato che univa le più importanti famiglie dell’isola. Ad assistere alle nozze, il giovane Ludovico, considerato uno di famiglia essendo il cugino dello sposo, un amico insomma. Ma non uno qualunque. Tra lui e Laura era nato sin da subito un feeling particolare, un sincero affetto secondo alcuni, l’inizio di qualcos’altro per molti altri. E in effetti ben presto l’amicizia sfociò in un sentimento più forte. I due divennero amanti e per 20 anni si incontrarono in segreto. Si dice persino che il vero padre degli otto figli della baronessa fosse lui e non il barone, poi scoperto sterile. Insomma, un amore lungo e profondo che purtroppo la notte del 4 dicembre del 1563 andò incontro a una fine tragica.

Il duplice omicidio: l’onore della famiglia è salvo
La storia vuole che i due innamorati siano stati trovati a letto insieme dal padre e dal marito della donna. Un tradimento che avrebbe rappresentato un disonore per tutte le famiglie coinvolte. Da qui la decisione di ucciderli, ma è a questo punto che la vicenda si circonda di ulteriore mistero.
Per la baronessa e il suo amante pare non ci sia stato alcun funerale, ma solo una sepoltura in un luogo ancora oggi segreto. Tutto doveva essere insabbiato, nessuno doveva sapere. E così avvenne all’inizio. Ma non passò molto tempo che le voci di paese, dapprima sussurrate, si fecero via via più insistenti fino ad arrivare alle orecchie del Vicerè che adottò nei confronti dei due carnefici i provvedimenti previsti dalla legge del tempo. A questo punto chi avrebbe potuto salvarli se non il re in persona? Ed è proprio a Filippo II che i due fecero ricorso, sostenendo di essere stati costretti a uccidere i due amanti per rinsaldare la rispettabilità della famiglia. Per loro un’assoluzione con formula piena. In realtà pare che con il duplice omicidio l’onore c’entrasse ben poco, piuttosto la bramosia dei due assassini che alla morte dei fedifraghi ricevettero un vantaggio economico non da poco, al marito della baronessa andò, secondo la legge del tempo, la metà del patrimonio dell’amante, mentre il padre ebbe indietro la dote.

E tutto sia nuovo, se non fosse per quella manina sul muro…
Tutto sembrava essersi risolto nel migliore dei modi per i due assassini, l’onore delle famiglie era stato ristabilito, la libertà ritrovata, così come i soldi. Per loro poteva iniziare una nuova vita, come ci tenne a precisare lo stesso barone che, risposatosi dopo poco tempo, fece incidere la scritta “Et nova sint omnia, E tutto sia nuovo” sulla porta della stanza dove dormiva la moglie defunta.
Insomma, tutto come da programmi, se non fosse per quell’impronta di una manina insanguinata su una delle metope del torrione principale…

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