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Viaggio in Sicilia

01/04/2021

Mariannina Coffa, la capinera di Noto, poetessa maledetta

Io muoio ammazzata. L’ha ripetuto fino alla fine perché fino alla fine così si sentiva: tradita, abbandonata, accusata da tutti. La vita di Mariannina Coffa non fu affatto semplice, forse per questo venne ribattezzata la poetessa maledetta dell’Ottocento siciliano. Una breve e intensamente dolorosa vita, la sua, tra Noto e Ragusa, le uniche città che conobbe: la prima, la sua amata terra dove nacque nel 1841 e dove morì nel 1878; la seconda il suo carcere soffocante – “Il solo nome mi fa rabbrividire”, scriveva in una lettera – da cui volle scappare dopo averci vissuto per più di quindici anni.

La vita e gli incontri: un destino d’infelicità

Ripercorrendo l’esistenza della poetessa siciliana, ci s’imbatte in tre incontri determinanti. Il primo è quello con il canonico Corrado Sbano a cui fu affidata la sua educazione e formazione. Fu lui tuttavia a soffocare il talento della fanciulla, a deviarlo dalla sua naturale e geniale predisposizione. Le letture religiose a cui Mariannina Coffa fu obbligata e la visione rigida e bigotta del suo mentore influenzarono infatti inevitabilmente la sua produzione poetica.

Nel 1859 il secondo incontro, forse quello più importante. Per volere della famiglia la ragazza iniziò a studiare il piano e in poco tempo s’innamorò del suo maestro, Ascenso Mauceri: fu per sempre il suo unico e grande amore. La relazione durò felicemente per un paio d’anni, col benestare del padre e della madre di Mariannina, ma un giorno tutto cambiò: i genitori ritirarono il loro consenso e la promisero in sposa al ricco proprietario terriero ragusano Giorgio Morana. Inutile la proposta di Ascenso di fuggire insieme, Mariannina era ancora troppo ingenua, giovane e legata alla sua famiglia per accettare e così, con le sue stesse mani, si condannò a un destino d’infelicità.

Nel 1860 il matrimonio con Morana e il suo trasferimento a Ragusa: ha inizio il suo calvario fisico e psicologico. Un suocero villano e a tratti misogino – le controllava la corrispondenza e non apprezzava la sua passione per la scrittura e la lettura –, le cognate poco educate e ignoranti, il resto della famiglia che non perdeva occasione per criticarla: l’universo di Mariannina Coffa si colora di sentimenti opachi, tristi, depressivi. Il corpo, stancato dalle gravidanze, colpito dal dolore per la perdita di due bambini e dalla malattia, cede, come la sua psiche. Mariannina trova consolazione solo nella scrittura, nella sua poesia e negli scambi epistolari con alcuni intellettuali e politici dell’epoca – ovviamente rigorosamente controllati dal suocero che spesso si divertiva a cancellare intere parti delle lettere. Da lontano, ma con profondo attivismo partecipa ad associazioni e accademie italiane e straniere e assiste all’unificazione del Regno d’Italia, allo sviluppo del Risorgimento, ai nuovi fenomeni sociali, politici e culturali che avrebbero determinato l’Italia del domani. Senza mai dimenticare il suo grande amore, Ascenso, con cui continua a scriversi: lei ci mette passione, amore, struggimento, lui risponde con freddezza, distacco, superficialità. Per la povera Mariannina è ancora dolore, forse quello più lancinante. Fino al 1872, anno che mette fine alla loro corrispondenza: per Mariannina è l’inizio del lento declino verso la fine. Resiste a Ragusa ancora pochi anni, poi nel 1876 decide di abbandonare tutto e tutti in un ultimo tentativo di sopravvivenza. Torna nella sua Noto.

Il terzo incontro l’accompagna negli ultimi anni di vita: è con il medico omeopata Lucio Bonfanti che la accoglie in casa dopo che la famiglia la allontana, scandalizzata dalla sua decisione di abbandonare il marito. Mariannina si avvicina a pratiche innovatrici, e al tempo criticate, come il sonnambulismo e il mesmerismo, per curare i suoi malesseri; entra a fare parte nella Loggia Elorina. Ma il suo stato di salute precipita. Il 6 gennaio 1878 muore, povera, sola e infelice. Fu la sua città, Noto, a pagarle il funerale.

Il lascito di Mariannina Coffa

Nella poesia di Mariannina Coffa c’è tutto il suo dolore, la sua solitudine, il rimpianto di una vita che avrebbe potuto essere diversa e che niente e nessuno le potè restituire. Tacciata come isterica, era in realtà profondamente disperata e alla ricerca di un suo spazio nel mondo: solo nella scrittura trovava quiete. Poesie in differenti metri, Nuovi canti, Versi inediti, Ultimi versi sono alcune delle sue opere pubblicate, altri testi completano la sua bibliografia che, considerando la brevità della sua vita e le difficoltà che dovette superare per potere scrivere i suoi pensieri, è comunque ampia.

Noto e Ragusa ricordano la capinera di Noto

La sua città natia, Noto, ricorda Mariannina Coffa con una statua in marmo di Carrara allestita in piazzetta d’Ercole. Le intitola anche la famosa scalinata che in primavera si veste di migliaia di fiori in occasione dell’Infiorata. Ragusa celebra in suo onore una cerimonia commemorativa a un mese dalla morte e poi le dedica una via del centro storico. Muore la capinera di Noto, chiamata anche Saffo netina, genio incompreso, donna colpita nella sua identità più profonda. Muore una grande figlia di Sicilia, ai contemporanei e ai posteri il compito di non dimenticarla, di riscoprirla e valorizzarla nel modo che merita.