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Viaggio in Sicilia

05/11/2020

Le ricamatrici di Santa Caterina Villarmosa: emancipazione femminile nella terra dei Grimaldi

Chi lo avrebbe detto alle 5.000 anime di Santa Caterina Villarmosa di trovarsi un giorno al cospetto di un “vero” principe? E invece così è stato e, nonostante siano passati tre anni, l’emozione è ancora forte al solo pensiero. Il 10 ottobre del 2017, nella bellissima cornice della Chiesa Madre, accolto dalle autorità civili e militari e dagli abitanti in festa, il principe Alberto di Monaco ha ricevuto la cittadinanza onoraria del piccolo paese in provincia di Caltanissetta. A Villarmosa infatti sono state rinvenute tracce della dinastia dei Grimaldi.

Le origini caterinesi del principe Alberto di Monaco

Furono gli antenati del principe Alberto, in particolare Giulio Grimaldi barone di Risigallo, padrone del feudo, ad avviare la nascita del paese considerato da molti al centro esatto della Sicilia. Il padre Pier Andrea nel 1572 aveva ottenuto una prima licentia populandi. Fu sempre Giulio, molto devoto a santa Caterina d’Alessandria, a chiamarlo appunto Santa Caterina – completato poi dagli spagnoli con l’attributo Villarmosa, villaggio bello. Proprio a Giulio Grimaldi è dovuta anche la costruzione della Chiesa di San Giulio, al suo interno si trova un quadro raffigurante il santo, il cui volo, si dice, assomiglierebbe a quello dello stesso principe. Ma non solo: sembrerebbe che la chiesa sia stata fatta costruire dal nobile come forma di ringraziamento per essere scampato a un agguato ed edificata nell’esatto punto in cui la tragedia fu sfiorata. Racconti e aneddoti che si tramandano da secoli e che hanno ovviamente molto affascinato il principe Alberto durante la sua visita.

La rivolta delle ricamatrici: dalla piazza al Parlamento

Radici preziose di cui il paese va particolarmente fiero. Così come è sentitamente orgoglioso di un’altra peculiarità, l’arte del ricamo, e di una storia di riscatto sociale e conquiste femminili che in pochi conoscono. Il ricamo caterinese è tra i più pregiati della Sicilia e ancora oggi, grazie al recupero delle tecniche di un tempo da parte delle generazioni attuali, è una vera chicca. Per decenni nei secoli scorsi le donne si sono tramandate conoscenze e segreti per confezionare lavori rinomati e costosi. Di tale ricchezza però a loro non rimaneva nulla, sfruttate com’erano da intermediari e committenti. Nei primi anni ‘70, in pieno fermento culturale e sociale nazionale post ‘68, proprio a Santa Caterina Villarmosa scoppiò la rivolta delle ricamatrici. Storia di lotta sociale e di emancipazione femminile, di donne stanche del loro non ruolo e desiderose di riscatto sociale. Madri, mogli e operaie che tutte insieme alzarono la testa per ottenere il loro giusto ed equo riconoscimento, divenendo simbolo per il resto della Sicilia e dell’intero Meridione. La loro voce, guidata da Filippa Pantano Rotondo, si unì in una lega sindacale e da questa in altre 15 leghe di lavoratrici organizzate. Dal cuore della Sicilia si levò un urlo di protesta che in poco tempo invase l’Italia intera, costringendo il Parlamento a emanare la legge 877 per la tutela del lavoro a domicilio. I loro sfruttatori furono portati in giudizio e condannati. L’interesse mediatico e collettivo sempre crescente portò alla costituzione nel 1977 della cooperativa “La Rosa Rossa”. Un sogno durato poco tempo: due anni dopo la mafia soffocò ogni aspettativa, lasciando in bocca l’amaro della speranza delusa.

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