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Viaggio in Sicilia

26/03/2020

La città dei forestieri, della croce, del pane: quanti appellativi per Ramacca

Secondo molti, dà il meglio di sé arrostito alla brace. Per altri è più buono ripieno: un mix di pangrattato, acciughe, pecorino, prezzemolo, aglio e un filo d’olio d’oliva che si amalgama perfettamente con il suo gusto pieno. Siamo a Ramacca, patria del Violetto Ramacchese, detto anche Violetta, la speciale varietà di carciofo che ha reso famosa questa cittadina in provincia di Catania.
Ma Ramacca è anche la capitale del pane e il granaio di Roma, soprattutto per la varietà di grano Senatore Cappelli apprezzata in tutta Europa. È la città dei forestieri e la città della croce. Insomma, un piccolo centro dalle innumerevoli anime, tutte da scoprire.

Il principe Ottavio popola Ramacca
Ramacca ha una storia relativamente recente. Nasce tra il 1710 e il 1712: bastarono infatti solo due anni a Ottavio, figlio di Sancio Gravina, per costruire il paese. Il padre, signore del feudo, avrebbe dovuto fondare un abitato entro dieci anni dalla sua elevazione a principato – siamo nel 1688 – per essere confermato principe. Tuttavia la sua morte pochi anni dopo fece fallire il tentativo. Fu il figlio Ottavio, nel 1707, a richiedere la licenza per popolare il feudo e a completare la costruzione del paese. Ottenuto il permesso, il principe dovette passare all’effettivo popolamento del centro, in questo fu aiutato da due eventi purtroppo catastrofici che determinarono la fuga di centinaia di persone in cerca di una nuova casa: il terremoto del 1693 e la precedente colata lavica dell’Etna. Due tragedie che provocarono tantissimi senzatetto che il principe Gravina accolse nella sua nuova città.
Sarà questo che spiega la nascita di una delle principali caratteristiche dell’anima ramacchese, l’apertura verso l’altro?

L’accoglienza di Ramacca, la città dei forestieri
La città dei forestieri: è uno dei tanti appellativi con cui è conosciuta Ramacca. In effetti sin dalle sue origini, come detto, la città è stata caratterizzata da una sorta di eterogeneità che se all’inizio era da attribuire all’incrocio di sfortunati che scappavano dal dramma del terremoto e della lava in cerca di un riparo, con i secoli è stata la conseguenza dell’immigrazione del bracciantato agricolo dalle province limitrofe. Una sorta di babele regionale che vide il mescolarsi di culture, consuetudini, dialetti, così ramificato da fare perdere le tracce dell’identità originaria, autoctona, dell’area.
Ai ramacchesi tuttavia poco importa: restano un popolo dedito all’accoglienza ancora oggi, anche se ovviamente le condizioni di un tempo non esistono più e il flusso d’ingressi si è fortemente ridotto.

La città della croce
Un tempo, all’epoca della massima espansione demografica cittadina, era un via vai incessante lungo le strade principali di Ramacca: la via Roma e l’attuale via Giusti. Viste dall’alto formano un crocefisso da cui deriva un altro epiteto con cui è conosciuto il paese, la città di Gesù o città della croce. Da questo crocevia si sviluppa l’impianto urbanistico cittadino secondo uno schema geometrico a scacchiera. Al centro c’è piazza Umberto, dove è possibile ammirare il settecentesco Palazzo comunale, antica residenza del principe di Gravina, nei dintorni gli altri monumenti e chiese cittadine, come la Chiesa Madre, il Monumento ai caduti, la chiesa di San Giuseppe.

Gli altari di San Giuseppe
San Giuseppe è il patrono della città: il 19 marzo è celebrato con una grande festa di fede e folclore. Momento clou i caratteristici altari di san Giuseppe, tavolate imbandite nelle case dei fedeli e ricche di ogni bontà locale con gli immancabili pane e pasta co’ maccu. La tradizione vuole che un altare sia allestito anche nella piazza principale e che il giorno della festa tre personaggi rappresentanti la Sacra Famiglia consumino il pranzo, mentre tutti gli altri prodotti offerti dai fedeli siano venduti all’asta e il ricavato devoluto alle famiglie meno abbienti della città.

Allestire una cena è abbastanza dispendioso, per questo è possibile sostituirla con l’usanza dei Virgineddi, cioè offrire un pranzo a base di pasta co’ maccu, frittate e polpettine di verdura di campagna a un gruppo di bambini, scelti sempre in numero dispari.
(Quest’anno la festa di San Giuseppe non è stata celebrata in ottemperanza alle disposizioni normative emanate a seguito dell’emergenza da coronavirus).
Ramacca: un cuore da custodire

I profumi dei suoi prodotti, il carciofo violetto, a cui la città dedica una sagra molto nota in Sicilia, il pane nelle sue varie forme e le altre bontà locali. Le sue antiche tradizioni ancora così vive. Persino le curiosità attorno ai suoi tanti nomi. Il cuore di Ramacca sta tutto qui. È questa la sua più preziosa ricchezza da custodire gelosamente.

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